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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-01-03

Milano butta via ogni giorno 180 quintali di pane

I fornai: nessuno lo vuole, neanche i proprietari dei canili.

Distribuirlo o grattugiarlo non conviene

L’economista: falle nel sistema di distribuzione MILANO— Soffocati da una montagna di pane. Bocconcini, sfilatini, michette. Poi arabi, tartarughe, francesini, baguette, ciabatte, filoncini, coppie, crostini e rosette. Fino alla nausea, fino a non poterne più. Al punto da gettare tutto nel sacco nero dopo aver soddisfatto l’ennesimo sfizio.

Il caso | I produttori obbligati per contratto a ritirare la merce invenduta

Non solo il pane viene sprecato: ogni anno cibo buttato per 1 miliardo

La stima tiene conto dei soli supermercati

"Aumentano i bisognosi, esaurite in tre mesi le risorse ricavate dall'8 per mille"

Bagnasco: "Spreco del pane scandaloso"

Il presidente della Cei e l'inchiesta del Corriere:

"Sapere usare meglio, distribuire meglio: così si esce dalla crisi"

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

40° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero:

Se l'informazione è verà è assurdo.

18000 Kg di pane corrispondono al fabbisogno per almeno 70000 persone, e significano un costo di 55000,00Euro/giorno = 19Mln Euro/Anno

Il pane invenduto potrebbe essere distribuito alle comunità.

Al limite lo si congela in attesa della distribuzione, e lo si scongela a temperatura ambiente diverse ore prima del consumo.

E' tanto difficile evitare questo spreco quando c'è chi ne ha bisogno ?

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

 

 

 

AVVENIRE

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http://www.avvenire.it

2010-01-05

 

5 Dicembre 2009

Inchiesta

La seconda vita del pane "salvato" dal cassonetto

Interi sacchi di pane destinati alla spazzatura. Un pugno nello stomaco di quanti fanno fatica non solo ad arrivare alla fine del mese ma, spesso, anche a coniugare il pranzo con la cena. L’allarme del pane sprecato è ritornato drammaticamente in primo piano in questi giorni, insieme a quello per altre quantità di cibo gettate nella spazzatura. Ma è un trend inarrestabile? No. Da tempo infatti sono attive organizzazioni che si occupano di raccogliere il pane in eccedenza e di distribuirlo ai poveri. Una di queste è Siticibo, che dal 2004 raccoglie e distribuisce cibo non consumato da refettori scolastici, mense aziendali, ospedali, alberghi, ristoranti e da altre strutture della ristorazione organizzata (vedi dati nel grafico in pagina).

L’idea è venuta a un’imprenditrice milanese, Cecilia Canepa, che un pomeriggio, andando a recuperare i figli a scuola, ha assistito alla preparazione degli avanzi della mensa per il camion della nettezza urbana. Uno choc (che soltanto a Milano è quantificato in 180 quintali di pane buttato ogni giorno) che presto si è tradotto in azione a beneficio di chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia, dove si buttano, ogni anno, 6 milioni di tonnellate di cibo, oltre 8 milioni di persone non hanno la possibilità di avere una dieta alimentare diversificata e, rileva la Fondazione per la sussidiarietà, almeno 3 milioni sopravvivono in una condizione di vera e propria "povertà alimentare".

Dal 2004 al 2009, Siticibo, che fa riferimento alla Fondazione Banco alimentare ed è presente in cinque città italiane (Milano, Como, Roma, Firenze e Modena), con i suoi 119 volontari ha raccolto e distribuito, ad 88 enti caritativi, 350 tonnellate di pane, per un controvalore commerciale di 770mila euro.

"Nelle scuole dove raccogliamo il pane non consumato – spiega la responsabile nazionale di Siticibo, Giuliana Malaguti – abbiamo assistito anche a profondi cambiamenti nel comportamento dei bambini nei confronti del cibo. A loro raccontiamo della fatica che, dal contadino che semina e raccoglie il grano fino al fornaio che lavora la farina e sforna le pagnotte, sta dietro alla rosetta che trovano sul tavolo in mensa. È una metafora che fa centro e che spinge i bambini a rispettare il pane e a consumarlo con una consapevolezza maggiore, evitando di sprecarlo".

Il pane non consumato dai piccoli milanesi finisce poi sulla tavola dei poveri ed emarginati. In questo senso, è molto interessante l’esperienza in atto con i Fratelli di San Francesco, realtà che nella metropoli lombarda gestisce una mensa da 1.200 pasti al giorno. Il quantitativo di pane quotidianamente necessario è garantito dalla raccolta delle eccedenze alimentari di dodici scuole della città, che coprono interamente il fabbisogno.

Trasformare lo spreco in risorsa è anche l’obiettivo di Last minute market, un progetto della Facoltà di Agraria di Bologna, che da dieci anni raccoglie e ridistribuisce, a enti caritativi che operano nel terzo settore, eccedenze alimentari in quaranta città italiane. Grazie a una fitta rete di volontariato locale, è garantito il recupero "a chilometro zero", "senza costi di trasporto e costi ambientali", come spiega il presidente Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata. "Per favorire i più bisognosi – sottolinea il docente – non ci si può permettere di sprecare neppure un minuto e nemmeno un prodotto".

Di grande interesse è anche il risvolto educativo che i volontari di Last minute market osservano tra i donatori di cibo. "Nei punti di raccolta storici – racconta Segrè – le eccedenze alimentari che noi intercettiamo sono sempre più contenute, segno che si produce e quindi si spreca di meno".

L’esperienza di Last minute market è stata presentata anche al recente Klimaforum di Copenaghen, in Danimarca, dove il professor Segrè ha rivelato che "il 10% delle emissioni di gas serra dei Paesi sviluppati deriva dalla produzione di cibo che viene giornalmente gettato". "Se il modello Last minute market venisse implementato sull’intero territorio italiano – aggiunge il professor Segrè – secondo i nostri studi sull’impatto ambientale, da tutto il settore distributivo dall’ingrosso al dettaglio, si potrebbero recuperare all’anno ben 244.252 tonnellate di cibo per un valore complessivo di 928.157.600 euro. Sarebbe inoltre possibile fornire tre pasti al giorno a 636.600 persone e risparmiare 291.393 tonnellate di anidride carbonica che sono invece attualmente prodotte a causa dello smaltimento del cibo come rifiuto. Per neutralizzare tutta questa anidride carbonica sarebbero necessari 586.205.532 metri quadrati di area boschiva equivalenti a 58.620 ettari o a 117.200 campi da calcio".

Paolo Ferrario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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http://www.corriere.it

2010-01-06

 

Il pane perso nell'età dello spreco

Nel 1923, nella Germania sconvolta dall’inflazione, una libbra di pane costava 220.000.000 di marchi. Calcolato nelle cifre di quell’anno tedesco, lo spreco giornaliero milanese di pane ammonterebbe a settemilanovecentoventi miliardi di marchi. Naturalmente si tratta di un conto insensato, data l’assoluta incomparabilità del valore del denaro nella Germania di allora e nell’Italia di oggi.

Ma il paragone abnorme mette ancor più in risalto la vertigine che prende il lettore quando le notizie riguardanti cose concrete o anche spicciole dell’esistenza quotidiana— come il pane — si traducono in numeri che si stentano ad immaginare, a porre in relazione alla realtà.

Centottanta quintali di pane buttati via ogni giorno a Milano, novecentocinquantanovemila tonnellate di pane consumate in Italia lo scorso anno... In questi giorni, leggendo il giornale, ci mettevamo a fare calcoli per tradurre quei numeri in oggetti concretamente afferrabili con la mente, per sapere quanti panini o mezzi panini avrebbe potuto mangiare di più ogni milanese se tutti fossero andati a frugare nelle spazzature, quanti affamati— per i quali pure una pagnotta è un miraggio— avrebbero potuto saziarsi con quei pletorici avanzi. Quando una crisi economica o un problema finanziario si dilatano, sembrano perdere il nesso con la realtà; pure quella folle cifra tedesca è in parte irreale, gonfia in misura fantasmagorica la pur gravissima difficoltà di procurarsi in quei giorni un tozzo di pane in Germania.

Lafitte, il banchiere di Luigi Filippo re di Francia, diceva che la finanza ha spesso la meningite ed era uno che s’intendeva di numeri e del loro rapporto, così spesso bislacco, con le cose. La cifra del nostro stipendio la sentiamo concretamente corrispondere alle cose in cui può convertirsi e si converte— un pranzo, un cappotto o l’affitto— finché non comincia a slittare così pericolosamente rispetto al costo della vita da diventare fluttuante e irreale, perché non sappiamo più a cosa corrisponde in realtà, a quanti caffè al bar o a quante stanze di un appartamento in affitto. Nei mesi scorsi, le discussioni sulla crisi— sulle sue dimensioni e le sue prospettive, insomma la sua realtà— sembravano bolle d’aria o di sapone, simili a quelle bolle (misteriose per i profani) di cui parlavano, e scoppiavano di continuo nel nulla; troppi esperti di banca, di finanza e di economia apparivano guru sfiatati e acchiappanuvole.

Quello spreco di pane appartiene alla follia generalizzata in cui e di cui viviamo e che non risparmia certo il commentatore di quello sciupìo più di chi lo mette in atto. Esso desta giustamente scandalo, perché è un’offesa oggettiva a chi non ha pane. La mia generazione lo sente più fortemente di quanto lo sentano quelle più giovani, perché, pur non avendo mai patito la fame, sono cresciuto in un’epoca in cui si mangiava tutto quello che c’era nel piatto, senza buttare via niente, e anche adesso, pur cercando anche a tavola i piaceri — com’è giusto, perché non siamo al mondo per fare fioretti— non mi viene in mente di lasciare avanzi nel piatto, anche quando il cibo non mi dà grandi soddisfazione. Anni fa uno dei miei figli, conoscendo questa mia abitudine e vedendo un giorno che non gustavo quello che mangiavo, si mise a riempirmi ogni tanto di nuovo il piatto, quando ero distratto da altre cose e non me ne accorgevo, sicuro che avrei continuato imperterrito a vuotarlo.

È lo stile formatosi in un’epoca della penuria, che non dobbiamo certo rimpiangere. Pure lo spreco, peraltro, non contrassegna solo le società opulente, ma anche, sia pure solo in occasioni speciali, quelle povere: in una pagina memorabile Canetti ha descritto l’enorme spreco praticato da alcune popolazioni indigene non certo ricche per dimostrare, in alcuni riti, potere e magnificenza, la regalità di distruggere pure ciò che è necessario a vivere, di gettare in un certo qual modo pure se stessi nel fuoco. La miseria è quasi cessata per noi, ma non per il mondo — in cui anzi aumenta — e dal mondo s’infiltra nelle nostre città, nell’esistenza di tanti nostri concittadini, venuti da lontano o nati vicino a noi, che non hanno dove posare la notte il capo, come dice la Scrittura del Figlio dell’Uomo, e dove trovare il pane.

Quei 180 quintali buttati via sono uno scandalo, ma di chi è la colpa? È facile ed è doveroso pensare agli affamati, ma è anche retorico, se non si riesce a suggerire tecnicamente, in modo concreto, come distribuire quel pane a chi ne ha bisogno. Non è certo semplice, come hanno sottolineato sul Corriere alcuni rappresentanti delle meritorie associazioni di volontariato.

Il problema si fa ancor più tragicamente difficile se dallo scialo milanese o italiano si passa a quello del cosiddetto primo mondo in generale, rispetto alle centinaia di milioni di persone che, nelle più diverse parti della terra, muoiono di fame e di sete e che sarebbe difficile sfamare e dissetare anche se buttassimo meno pagnotte nel cestino e lasciassimo scorrere meno l’acqua nel bagno. I 180 quintali di pane sprecati ogni giorno a Milano sono il piccolo tassello di un immane, tragico problema che investe il mondo; tragico perché— a parte le infami e deliberate ingiustizie, che è necessario eliminare— è oggettivamente di difficilissima soluzione.

Distribuire, ai milioni e milioni che non li hanno, il pane e l’acqua che ci avanzano è più arduo che viaggiare nello spazio o realizzare mutazioni genetiche; siamo capaci di trasformare radicalmente l’uomo, che presto sarà qualcosa d’altro rispetto all’umanità che conosciamo, ma non siamo capaci di dargli da mangiare e da bere. A tutto ciò si aggiunge l’iniquo sfruttamento di ogni genere perpetrato da parte di tante potenze e forze economiche ai danni del pianeta e di innumerevoli suoi abitanti. I volontari— specialmente, ma non soltanto religiosi— che nei più aspri luoghi della terra aiutano contro ogni speranza i loro sempre più numerosi fratelli in condizioni abominevoli, salvano l’onore dell’umanità, come soldati che non si arrendono, ma tutta l’umanità è seduta ai bordi di un vulcano non certo spento. Quei panini gettati via sono anche dei lapilli che attestano il ribollire della lava.

Claudio Magris

06 gennaio 2010

 

 

 

2010-01-05

"Aumentano i bisognosi, esaurite in tre mesi le risorse ricavate dall'8 per mille"

Bagnasco: "Spreco del pane scandaloso"

Il presidente della Cei e l'inchiesta del Corriere: "Sapere usare meglio, distribuire meglio: così si esce dalla crisi"

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Milano butta via ogni giorno 180 quintali di pane (3 gennaio 2010)

Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Ansa)

Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Ansa)

MILANO - "Questo spreco enorme del pane è scandaloso". Così l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha commentato l'inchiesta del Corriere della Sera sullo spreco di pane a Milano, dove ogni giorno ne vengono gettati 180 quintali. Bagnasco, a margine di una visita al presepe nella sede della Regione Liguria, insieme al presidente ligure Claudio Burlando, ha ricordato anche "altri sprechi, anche se quello del pane ha un valore simbolico diverso".

GLI SPRECHI E LA CRISI - Il presidente della Cei ha quindi collegato questo spreco alla crisi internazionale: "Siamo certi di uscire dalla crisi - ha detto Bagnasco - perchè si uscirà in modo globale, ma non per tornare come prima, ma, come dico sempre, per tornare meglio di prima, che significa non avere di più ma sapere usare meglio, distribuire meglio". Sugli effetti della contrazione economica, il cardinale ha detto ancora che nonostante i tanti aiuti messi in campo anche dalla Chiesa per aiutare i bisognosi "non si è mai all'altezza delle richieste". "Nei primi tre mesi dell'anno erano già quasi esaurite le risorse dei centri di ascolto vicariali dell'otto per mille - ha ricordato Bagnasco - era un indice chiaro dell'aumento dei bisogni e delle richieste".

05 gennaio 2010

 

 

 

 

 

 

Il caso | I produttori obbligati per contratto a ritirare la merce invenduta

Non solo il pane viene sprecato:

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La stima tiene conto dei soli supermercati

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Milano butta via ogni giorno 180 quintali di pane (3 gennaio 2010)

180 quintali

di pane che vengono buttati ogni giorno nei rifiuti di Milano. I fornai non sanno a chi darli

MILANO—Presente le montagne di arance del supermercato imprigionate nelle retine rosse? Basta che un frutto mostri qualche segno di deperimento perché tutto sia buttato nella spazzatura. Gli yogurt vengono gettati quando sono ancora degni di una sana merenda: "Li preleviamo dagli scaffali due giorni prima della scadenza. Tanto non li compra più nessuno", spiegano i direttori dei supermercati. Per non parlare della aragoste che facevano bella vista nei banchi frigo prima di Natale: quelle invendute sono in gran parte finite nella spazzatura.

Non solo michette e filoncini:i 180 quintali di pane che ogni giorno, a Milano, finiscono nei sacchi neri sono la punta di un enorme iceberg di immondizia. Fatto di frutta, verdura, latticini, pasta. Gli operatori parlano di un 1% di fatturato mancato per colpa dei "resi". "Se si tiene conto che il fatturato della grande distribuzione in Italia supera i 100 miliardi di euro l’anno, lo spreco alimentare vale circa un miliardo", stima Sandro Castaldo, ordinario di Marketing alla Bocconi. E la cifra tiene conto solo della grande distribuzione.

Tra le catene più abili nel contenere i cosiddetti "resi" c’è Esselunga. "Ogni punto vendita produce i quantitativi di pane basandosi sul venduto dei giorni precedenti— spiegano al quartier generale di Pioltello —. Nonostante ciò, è inevitabile che rimanga una piccola quantità di pane. La sua alta deperibilità ci impedisce di regalarlo. Come facciamo invece per altre rimanenze che consegniamo al Banco Alimentare".

Ma il problema non riguarda solo i super. Perché sono i produttori a farsi carico dell’onere economico delle rimanenze. "La grande distribuzione chiede ai panificatori artigianali di consegnare pane fresco in abbondanza per avere gli scaffali pieni fino all’ora di chiusura. Nei contratti è previsto il ritiro dell’invenduto da parte del panificatore. Che non può fare altro che buttare tutto", lamenta Luca Vecchiato, presidente della Federazione italiana panificatori. Il sistema è lo stesso quando si parla di formaggi e latticini. Il produttore è tenuto a ritirare l’invenduto. Per di più mantenendo la catena del freddo. Poi, si vede ritirare gratuitamente i prodotti scaduti da società produttrici di mangimi. In alcuni casi paga un compenso per liberarsi della merce. L’alternativa è buttare tutto nell’umido, con il conseguente versamento della tassa sullo smaltimento dell’immondizia. "Con un sistema efficace di riciclo, si potrebbe ridurre l’impatto sull’ambiente e sfamare persone in difficoltà", sintetizza Luciano Morselli, docente di Gestione dei rifiuti a Rimini. Ma per trasformare in sistema le iniziative di pochi (il Banco Alimentare, i Lastminutemarket dell’università di Bologna) servirebbero agevolazioni fiscali mirate. "Alcuni comuni fanno sconti sulla tassa sui rifiuti a chi dona le eccedenze. Ma non basta — valuta Tommaso di Tanno, docente di diritto tributario all’università di Siena —. Se vogliamo diventare a sprechi zero la leva tributaria potrebbe agire in ben altri modi. Agevolando i virtuosi"

Rita Querzé

 

 

 

2010-01-03

L’"ultimo minuto" per salvare il pane

Esperimento in 40 città: avanzi ai volontari del quartiere. Petrini: si fermi lo spreco

 

180 quintali di pane finiscono ogni giorno nella spazzatura solo a Milano

180 quintali di pane finiscono ogni giorno nella spazzatura solo a Milano

MILANO — Pioggia, nebbia o neve che sia, don Domenico Bendin ha un appuntamento fisso per ogni giorno feriale che il Signore manda in terra. Alle 19.29 in punto si presenta allo storico panificio-pasticceria Orsatti di Ferrara, a due passi dal Duomo. "Come va Don, tutto bene?", sorride la titolare mentre gli consegna tre vassoi con gli avanzi di giornata di paste e pasticcini. I cabaret in meno di mezz’ora atterrano sul tavolo della mensa dell’associazione viale K, fondata per aiutare chi ha bisogno.

Don Bendin e il panificio Orsatti non sono soli. C’è tutta un’Italia che s’inventa l’impossibile per evitare gli sprechi. Convinta che l’uomo non sia solo ciò che mangia ma anche ciò che evita di buttare nella spazzatura. Gente che si mobilita soprattutto di fronte a notizie come quella segnalata ieri dal Corriere: 180 quintali di pane buttati ogni giorno solo a Milano.

"Fermare lo spreco: ecco la questione chiave con cui ci confronteremo in futuro", mette in allerta il presidente di Slow Food, Carlo Petrini. Il problema è già chiaro a circa 65 mila famiglie che in Italia fanno parte dei Gas e dei Gap, gruppi d’acquisto solidale e popolare determinati a comperare solo ciò che si consuma davvero. La Caritas ambrosiana da una parte fa notare la sensibilità di alcune catene, come Coop Lombardia, che consegnano l’invenduto al mondo del non profit. Dall’altra lancia una proposta: "Sono certo che imilanesi pagherebbero qualche centesimo in più gli acquisti al super o in negozio pur di finanziare un sistema di riutilizzo delle eccedenze", riflette il direttore, don Roberto Davanzo.

A dire il vero "il sistema" qualcuno è convinto di averlo già trovato. "Il pane buttato a Milano potrebbero sfamare chi ne ha bisogno. Basta organizzarsi", assicura Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria dell’università di Bologna. Le brioches di don Bendin sono salvate dal cestino proprio grazie a un modello messo a punto dal professor Segrè e dai suoi studenti. I primi studi sono iniziati una decina di anni fa. Nel 2003 è nata una società partecipata dall’ateneo di Bologna e da nove ex studenti ( www. lastminutemarket.org) che aiuta a salvare dalla spazzatura le eccedenze della grande e piccola distribuzione. Oggi il modello ha una quarantina di applicazioni in giro per l’Italia. Da Cagliari a Verona, passando per Modena, Bologna, Cagliari e, appunto, Ferrara.

Nel suo ruolo di presidente della Lastminutemarket, Segrè è stato invitato, il 18 dicembre scorso, al forum sul clima di Copenhagen. E lì ha illustrato la situazione del nostro Paese. Recuperando le eccedenze di grande e piccola distribuzione, in Italia si potrebbero salvare all’anno 244.252 tonnellate di cibo per un valore di 928.157.600 euro. Sarebbe inoltre possibile fornire tre pasti al giorno a 636.600 persone (gli abitanti della provincia di Modena, ndr) e risparmiare 291.393 tonnellate di CO2 prodotte a causa dello smaltimento del cibo di risulta come rifiuto".

Il sistema elaborato dall’ateneo di Bologna si basa sul riutilizzo delle eccedenze a chilometro zero, nelle immediate vicinanze. Tra i punti vendita aderenti, l’iper Conad-Leclerc di via Larga a Bologna. "Non solo abbiamo la soddisfazione di non buttare nulla, migliora anche il risultato economico", assicura il responsabile del punto vendita, Stefano Cavagna.

La normativa fiscale potrebbe determinare in futuro il successo del progetto. "Il ministero dell’Ambiente leghi la tassa sui rifiuti non ai metri quadrati del punto vendita, ma alle quantità smaltite", dice Paolo Masciocchi, direttore del settore Ambiente di Confcommercio. Certo è che dove i Comuni agevolano i negozi virtuosi il sistema funziona. Tanto che la pasticceria Orsatti di Ferrara, a furia di donare vassoi, ha risparmiato duemila euro di tasse. Che ora finanzieranno un progetto in Tanzania.

Rita Querzé

04 gennaio 2010

 

 

 

2010-01-03

L’economista: falle nel sistema di distribuzione

Milano butta via ogni giorno

180 quintali di pane

I fornai: nessuno lo vuole, neanche i proprietari dei canili. Distribuirlo o grattugiarlo non conviene

MILANO— Soffocati da una montagna di pane. Bocconcini, sfilatini, michette. Poi arabi, tartarughe, francesini, baguette, ciabatte, filoncini, coppie, crostini e rosette. Fino alla nausea, fino a non poterne più. Al punto da gettare tutto nel sacco nero dopo aver soddisfatto l’ennesimo sfizio. È questa la fine del pane a Milano. I fornai della Madonnina stimano in 5.250 i quintali buttati al mese in città, poco meno di 180 al giorno. Come dire: ogni milanese rovescia nella spazzatura quattro etti di pane al mese. Ipotizzando livelli di spreco uguali nel resto del Paese, in Italia sarebbero 24.230 le tonnellate di pane che ogni trenta giorni finiscono nella spazzatura. Alla faccia della crisi. E del miliardo di persone che, secondo la Fao, soffrono la fame nel mondo. "Bando ai falsi moralismi. Il nostro sistema di produzione, distribuzione e consumo rende inevitabili gli sprechi di molti altri prodotti deperibili. Pensiamo alle enormi quantità di pomodori o arance che vengono distrutte", fa riflettere Sandro Castaldo, ordinario di Marketing all’università Bocconi di Milano. Ma torniamo nelle panetterie milanesi. "Il problema del pane buttato si aggrava di giorno in giorno perché i consumatori sono sempre più esigenti.

MILLE VARIETÀ- Quando ho cominciato a fare questo mestiere, trent’anni fa, lavoravamo quattro tipi di paste. Adesso le varietà si sono moltiplicate all’infinito. E se non hai sempre l’assortimento completo e caldo, perdi clienti", racconta Stefano Fugazza, a capo dei panificatori dell’Unione artigiani di Milano, aderente alla Claai. "Con questo modo di lavorare l’invenduto aumenta a dismisura", tira le somme Fugazza. "In media resta sugli scaffali il dieci per cento del pane prodotto. Difficile scendere sotto questa percentuale ", fa il punto Gaetano Pergamo, direttore del settore alimentare di Confesercenti. La Claai stima tra i tre e sette chili il pane invenduto ogni giorno in ciascuna delle 500 panetterie milanesi. Il che vuol dire che si arriva anche a 750 quintali di pane buttato al mese in città. Buttato? Ma non si potrebbe distribuire a famiglie in difficoltà, associazioni di volontariato? "Macché — risponde Fugazza —. Il nostro pane a fine serata non interessa più nessuno. Lo abbiamo proposto persino ai canili, ma andrebbe integrato con altri alimenti, e così la preparazione del cibo costerebbe troppo in termini di manodopera". Il pane avanzato non può nemmeno essere rivenduto grattugiato il giorno dopo perché ci sono regole rigide da rispettare: controllo del grado di umidità, confezioni, etichettature. Insomma, non ne vale la pena. Le grandi associazioni del volontariato spiegano così il paradosso del pane buttato. "Attrezzarsi con un furgoncino per andare a raccogliere ogni sera quel che resta ai panettieri comporterebbe uno sforzo e un costo considerevoli", fa notare Pier Maria Ferrario, a capo di Pane Quotidiano, associazione che a Milano garantisce pasti a 660 mila persone l’anno. "I 2.000 quintali di pane che abbiamo distribuito nel 2009 ci sono stati garantiti da Panem, un grande marchio della distribuzione industriale". Naturalmente il problema riguarda anche i supermercati.

MANGIMI - La scena si ripete di frequente a ridosso della chiusura: grandi sacchi neri vengono riempiti con il pane avanzato. Interpellate, molte insegne tra le più note glissano. "Risolviamo il problema cercando di produrre esattamente quello che va consumato — assicurano alla Coop —. Un accurato monitoraggio dei consumi consente di ridurre gli sprechi". Altri grandi marchi (che, però, preferiscono non essere citati) puntano sulla cessione del pane a produttori di mangimi. Una strada, questa, per nulla scontata. "Il fatto è che non si possono mescolare diversi tipi di pane perché i mangimi devono mantenere determinati valori nutrizionali — spiega Antonio Marinoni, presidente dei panificatori milanesi aderenti a Confcommercio —. E così, in teoria, prima del conferimento ai consorzi bisognerebbe dividere il pane comune da quello all’olio, e così via separando". Sempre Marinoni fa notare un secondo aspetto del problema: gli sprechi delle famiglie.

L'INDAGINE - "Come ogni anno abbiamo condotto un’indagine insieme con Amsa, la società che gestisce i rifiuti a Milano — racconta il presidente dell’associazione —. Abbiamo analizzato il contenuto di un campione di sacchi della spazzatura raccolti in città. Bene, ogni giorno a Milano si buttano tra i 130 e i 150 quintali di pane". Che poi vuol dire 4.500 quintali al mese da aggiungere ai 750 di cui si liberano ogni sera le panetterie. "Le stime sono realistiche. Anche se non è detto che il resto d’Italia sprechi quanto a Milano", fa notare Sandro Castaldo dell’università Bocconi. "Detto questo, il problema resta — aggiunge il professore —. E le soluzioni finora sperimentate sono solo parziali ". L’unica arma in mano oggi alla distribuzione è sviluppare sistemi di previsione della domanda talmente accurati da ridurre al minimo gli sprechi. C’è anche chi utilizza semilavorati (baguette congelate, per esempio) da infornare man mano che entrano i clienti. "Ma la vera soluzione sarebbe abbassare i prezzi di vendita del pane dopo le sei del pomeriggio—conclude con una proposta Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo —. Così i negozi ridurrebbero l’invenduto. E le famiglie avrebbero una strada per risparmiare".

Rita Querzé

03 gennaio 2010

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